Anche se il periodo storico di cui
ci occuperemo riguarda la prima parte del Seicento, è opportuno ricordare
alcune date importanti per la storia religiosa della seconda metà del
Cinquecento.
Il Cinquecento in Europa è il secolo della Riforma protestante,
dell’inizio della Controriforma, del Concilio di Trento. Alla morte di Lutero,
nel 1546, la Riforma si è già affermata nell’Europa settentrionale, mentre
nei paesi dell’Europa meridionale, Italia e Spagna, si sta rafforzando
l’egemonia della chiesa cattolica. Un anno dopo, nel 1547, muore Enrico VIII,
il quale aveva separato la Chiesa d’Inghilterra dalla Chiesa di Roma, per
motivazioni più politiche che religiose; ciò significa che se, nella sostanza,
la teologia non è molto cambiata, i fermenti della Riforma sono già arrivati
anche da quelle parti. Infatti, il suo successore, Edoardo VI, che ha forti
simpatie per la Riforma, permette alle forze che, nell’ambito della Chiesa
d’Inghilterra, premevano per un distacco da Roma, sostanziale e non solo
formale, di farsi sentire e di fare delle proposte anche per riforme che
riguardano la struttura e la liturgia della chiesa d’Inghilterra.
Tutto ciò finisce con la morte di Edoardo VI, quando sale al trono la
sorellastra Maria Tudor, ricordata anche come Maria la Sanguinaria, perché
durante il suo regno, dal 1553 al 1558, ci fu una grande persecuzione dei
protestanti (228 tra loro vengono bruciati sul rogo, mentre molti altri fuggono
in Europa e si recano in città come Ginevra, Zurigo, Francoforte, Heidelberg,
dove la Riforma si era affermata, e lì assorbono le linee ideologiche dettate
da Calvino).
Tra questi esuli ci sono personaggi di spicco, come l’arcivescovo di
Canterbury, Thomas Plummer, teologi e altre personalità importanti. A Ginevra,
un gruppo di questi fuoriusciti tradusse la Bibbia dai testi originali: questa
edizione, che sarà portata a termine nel 1560 e che ancora oggi è conosciuta
come la Bibbia di Ginevra, è il testo che usavano i Padri Pellegrini e i
Puritani, che vi rimasero fedeli anche quando
fu disponibile la nuova versione di re Giacomo del 1611.
Alla fine del regno di Maria Tudor, sale al trono Elisabetta I (1558
–1603), la quale cerca di conciliare le due posizioni. Questa conciliazione
però non è gradita a coloro che hanno ormai aderito intellettualmente e
spiritualmente alla Riforma, sia quelli che erano rimasti in Inghilterra sia a
quelli che ritornano dall’esilio in Europa dopo la morte di Maria Tudor.
Tali forze non sono strutturate in un’associazione, ma formano quello
che successivamente verrà chiamato il “movimento puritano”, perché
vogliono, tra le altre cose, una purificazione della Chiesa d’Inghilterra e un
ritorno alle origini della fede cristiana; non solo, dunque, la riforma della
liturgia, ma una riforma totale della chiesa e della società.
I fondamenti teologici dei puritani sono i seguenti:
a) la salvezza dipende unicamente
da Dio per cui viene messa in secondo piano la possibilità dell’uomo di
salvarsi con le sue opere;
b) l’autorità normativa della
Scrittura: la chiesa ha come unica autorità il testo biblico e il suo
sforzo deve essere quello di aderire agli insegnamenti biblici. Ovviamente
esistevano delle divergenze sull’interpretazione delle norme scritturistiche;
ad esempio, circa l’insegnamento biblico sulla struttura della chiesa, c’era
chi propendeva per una forma ecclesiologica più presbiteriana, cioè una chiesa
guidata dagli anziani, ma con un sinodo e una struttura di governo su tutte le
singole chiese, e chi invece propendeva per una linea più radicalmente
congregazionalista, cioè ogni chiesa locale è chiesa a sé stante e ha un suo
valore autonomo, per cui tra le varie chiese ci devono essere legami, ma non una
struttura sopra la chiesa. Altre divergenze riguardavano il rapporto tra chiesa
e stato: c’era chi pensava che essa dovesse essere completamente svincolata
dallo stato e chi proponeva un rapporto più stretto tra le due istituzioni;
c) la sovranità di Dio: la
società è stata creata da Dio come una realtà unica e non ci sono separazioni
tra pubblico e privato, tra la vita dell’individuo nella chiesa e la vita
nella società. Poiché tutto è sotto la sovranità di Dio, il credente deve
vivere secondo le norme della Scrittura sia in pubblico, nella chiesa, sia in
privato. Questo principio avrà delle implicazioni politiche e sociali molto
forti e porterà a posizioni che noi oggi chiameremmo di intolleranza. I
puritani non furono, né in Inghilterra né in America, dei campioni di libertà
religiosa, almeno per come viene intesa ai nostri giorni. Essi avevano delle
idee molto ferme su quella che ritenevano essere la volontà di Dio: la loro
idea di libertà religiosa era che ognuno dovesse essere libero di esercitare la
propria religiosità, ma senza dare noia a chi voleva costruire una società
secondo le norme bibliche. Nella Nuova Inghilterra, a chi oppone modi diversi di
intendere la religiosità, essi rispondono: “Noi diamo a tutti la libertà di
stare lontano da noi”. Naturalmente anche tra loro c’era chi la pensava
diversamente. Un famoso teologo e pastore puritano, Roger Williams, diventato
uno dei simboli della libertà religiosa, predica l’accettazione di altre
posizioni teologiche, con il risultato, però, di essere cacciato dai suoi
colleghi;
d) Dio si relaziona con gli
individui e con le nazioni attraverso una serie di patti: il patto
dell’Antico Testamento è ora sostituito dal nuovo Israele che,
nell’interpretazione puritana, è rappresentato dalla Chiesa; essi sentivano
di avere una vocazione analoga a quella dell’antico Israele.
Nell’ambito del
movimento dei Puritani, i Padri Pellegrini rappresentano un gruppo marginale.
Essi ritengono di non aver più niente a che fare con la Chiesa d’Inghilterra
e che l’unica alternativa sia la separazione da essa per costituire delle
comunità cristiane separate; per questo vengono chiamati “Separatisti”. Se
i Puritani li considerano come cugini, poiché hanno sostanzialmente molte idee
teologiche in comune, la Chiesa d’Inghilterra e la Corona li condannano perché,
rifiutando la Chiesa d’Inghilterra, rifiutano anche la regina. Durante il
regno di Elisabetta I, mentre i Puritani sono emarginati ma non perseguitati, i
Separatisti vengono imprigionati e obbligati a riunirsi in segreto. Questa
situazione diventa con gli anni insostenibile e porta alla decisione di cercare
un luogo dove vivere liberamente la propria esperienza di fede.
Nel 1603 inizia il regno di Giacomo I. A lui viene presentata dai
Puritani una petizione che invoca una riforma radicale della chiesa; dopo la
convocazione di una conferenza che delude totalmente le attese dei Puritani, e
ancora più quelle dei Separatisti, un gruppo di quest’ultimi decide di
emigrare in Olanda, il paese europeo in cui, all’inizio del Seicento c’è la
maggior tolleranza religiosa. Questa decisione viene raccontata nella storia
della colonia di Plymouth scritta da William Bradford, che fu a lungo
governatore della colonia: «Vedendosi così perseguitati e non avendo alcuna
speranza di continuare a vivere là [in Inghilterra], decisero di emigrare nei
Paesi Bassi, dove avevano sentito che esisteva libertà di religione per tutti»
[Bradford, Of Plymouth Plantation,
10]. Accompagnati dal loro pastore, John Robinson, decidono di stabilirsi a
Leida, centro piccolo ma molto attivo, sede di un’importante università e
ricco di possibilità lavorative.
In effetti la libertà che trovano è molta, per loro forse troppa (la
società olandese è molto aperta e offre la possibilità a tutte le idee di
circolare liberamente), tanto che, con il passare degli anni, i loro figli si
lasciano condizionare da questo atteggiamento, abbandonando gli insegnamenti dei
progenitori. Per questo motivo, oltre al timore di una ripresa del conflitto tra
Olanda e Spagna, decidono di lasciare anche Leida.
Siamo ormai nel secondo decennio del Seicento ed è iniziata la
colonizzazione inglese del nord America (la prima colonia inglese, Jamestown,
risale al 1607); cominciano a circolare scritti sulla disponibilità di terre in
cui non vive quasi nessuno e dove è possibile vivere indisturbati la propria
fede.
Iniziano allora i primi contatti con le compagnie commerciali che
organizzano i viaggi e, nel 1619, viene presa la decisione di emigrare in questa
nuova terra, una decisione sicuramente drammatica per le incognite che
presentava: si sapeva infatti di andare incontro ad un viaggio massacrante e,
nel caso fortunato di un approdo in salute, a grandi difficoltà e ad una vita
dura.
«Così lasciarono quella città buona e piacevole che era stato il loro
luogo di riposo per 12 anni, ma sapevano di essere pellegrini e non guardavano tanto a queste cose ma alzavano gli
occhi al cielo, la loro patria più cara, e in questo modo rasserenavano il loro
spirito» [Bradford, Of Plymouth
Plantation, 47]. Da questo passo della storia del Bradford deriva il nome
Pellegrini, con il quale sarebbero stati chiamati in seguito; il riferimento è
alla Lettera agli Ebrei, 11, 13-16: «Tutti costoro sono morti nella fede senza
ricevere le cose promesse ma le hanno vedute e salutate da lontano, confessando
di essere forestieri e pellegrini
sulla terra»).
Lasciata Leida
nel 1620, dopo una breve sosta in Inghilterra, salpano infine da Plymouth sulla
“Mayflower” il 6 settembre 1620. Dei 102 passeggeri a bordo della nave, solo
la metà sono Separatisti, perché la restante parte della comunità (tra cui
anche il vecchio pastore che morirà nel 1625 senza riuscire a raggiungerli)
rimane a Leida, soprattutto per problemi familiari. Le altre persone che si
trovano sulla “Mayflower” sono marinai, povera gente che cerca di sfuggire
alla miseria inglese e ciò significa che soltanto metà dei viaggiatori aveva
una profonda motivazione religiosa.
Anche nel corso durissimo viaggio - durante il quale muoiono quattro
persone - essi continuano a vedere la mano di Dio sopra di loro e continuano ad
essere convinti che questo esodo fa parte della loro vocazione. Si racconta di
un episodio in cui una delle persone che non facevano parte della comunità e
che fin dalla partenza li aveva attaccati, ad un certo punto cade in mare e
muore; in questo fatto essi riconoscono la volontà di Dio. In un altro momento,
la stessa cosa succede a uno di loro ed essi vedono riconfermata la loro fiducia
nel Signore.
Il 6 novembre, dopo più di due mesi di navigazione, arrivano in vista
della penisola di Cape Cod, che ha tutto l’aspetto di una landa desolata;
l’inverno è appena iniziato e lo spettacolo delle rocce che si presenta ai
loro occhi li fa desistere dallo sbarcare subito. Alcuni di loro cominciano una
cauta perlustrazione, raggiungendo la costa per mezzo delle scialuppe ma, dopo
alcune settimane, la ricerca di un
posto soddisfacente dove insediarsi è ancora vana. A bordo cresce lo sconforto
per la rigidità incombente dell’inverno e perché il cibo comincia a
scarseggiare. Soltanto dopo più di un mese, ormai disperati, decidono di
stabilirsi, almeno provvisoriamente, nelle vicinanze di un piccolo fiume.
Prima però di scendere dalla nave, per decisione dei “santi” viene
scritto e sottoscritto da tutti gli uomini adulti (le donne allora non godevano
di pari diritti) un patto (covenant),
sia perché questo fa parte della loro teologia sia perché nel posto in cui
sarebbero sbarcati non esisteva nessuna autorità né religiosa né civile.
Questo testo dice:
«Noi qui sottoscritti, leali sudditi del nostro riverito Signore
Sovrano, Giacomo, [...] avendo intrapreso un viaggio per fondare la prima
colonia nella zona settentrionale della Virginia, [...] alla presenza di Dio e
l’uno dell’altro, stringiamo un solenne patto reciproco e solennemente ci
impegniamo a costituire una civile società politica per il migliore ordinamento
e la migliore conservazione della nostra comunità [...]; ed in virtù della
presente formuleremo ed applicheremo leggi, ordinanze, provvedimenti ed altri
atti che siano giusti ed uguali per tutti e istituiremo uffici, a seconda che di
volta in volta lo si riterrà utile ed opportuno per il bene generale della
Colonia [...]». Questo testo, divenuto famoso come il Patto del Mayflower, diventa la base della loro vita comune.
Inizia così la parte americana della loro storia. L’arrivo è così
descritto dall’autore della storia della colonia: «Avendo dunque attraversato
il vasto oceano e in precedenza, durante i preparativi, un mare di guai, ora
essi non avevano amici per riceverli né luoghi dove riposare o ristorare i loro
corpi provati dalle intemperie, né case e tanto meno città dove ripararsi,
cercare rifugio. [...] E quanto alla stagione, era inverno. [...] Che cosa
poteva ora sostenerli, se non lo spirito di Dio e la sua grazia? I figli e poi i
padri possono e devono giustamente dire: i nostri padri erano inglesi, i quali
attraversarono questo grande oceano, pronti a perire in questa landa deserta; ma
essi invocarono il Signore ed egli udì la loro voce e volse lo sguardo sulle
loro avversità» [Bradford, “L’impianto di Plymouth”, 393-4]. Questo
passo ricorda Deuteronomio 26,5.7 in cui si dice: «Mio padre era un Arameo
errante, scese in Egitto, vi stette come straniero con poca gente, vi diventò
una nazione grande, potente e numerosa (…) Allora gridammo al Signore, il Dio
dei nostri padri, e il Signore udì la nostra voce, vide la nostra oppressione,
il nostro travaglio e la nostra oppressione».
C’è dunque una fortissima motivazione religiosa a sostenere queste
persone nel loro viaggio e nell’impatto con la nuova, durissima realtà. Nel
corso del primo inverno muore quasi la metà di coloro che sono arrivati, molti
passano l’inverno sulla nave, mentre quelli che si ritrovano ancora vivi nella
primavera successiva non si scoraggiano e cominciano il vero lavoro di
costruzione di un villaggio, di semina e di raccolta. Alla festa per il primo
raccolto vengono invitati anche gli indiani che avevano dato loro i semi e li
avevano aiutati. Questo episodio entrerà successivamente nell’immaginario
collettivo americano fino ad essere istituzionalizzato dal presidente Lincoln
nel 1863 come il “Giorno del
Ringraziamento”.
Dieci anni dopo la piccola comunità di Plymouth è sopravvissuta, ma ha
raggiunto soltanto i 300 abitanti quando, nello stesso anno, arriva
dall’Inghilterra la grande ondata migratoria dei Puritani che, ormai delusi da
quello che sta succedendo in patria (alla morte di Giacomo I era salito al trono
Carlo I, ancor meno favorevole al loro modo di intendere la religiosità), si
organizzano in una flotta e partono alla volta dell’America in circa 1000
persone. Fondamentalmente, la motivazione che li spinge a questa decisione è la
stessa dei loro predecessori: il sentirsi investiti da una vocazione e quindi il
vedere nel loro esodo una riattivazione dell’esodo biblico. La loro forte
coscienza si esprime molto bene in un sermone predicato a bordo della nave
ammiraglia della flotta, in mezzo all’oceano, da uno dei loro leader,
destinato a diventare il primo governatore della colonia del Massachusetts, Jonn
Winthrop, il quale dice: «Noi siamo entrati in un patto con Dio perché
dobbiamo considerare che noi saremo come una città sul mondo (nell’originale
“come una città sulla collina”) con gli occhi di tutti rivolti verso di noi».
È da qui che ha origine l’idea di “missione americana” che, nel corso
degli anni, si è secolarizzata, l’idea cioè di realizzare una chiesa e una
società secondo la volontà di Dio.
Una vicenda,
quella dei Padri Pellegrini, di scarsa rilevanza storica. La colonia di Plymouth
rimase una piccola realtà ed ebbe breve vita: nel 1691 fu annessa a quella
della Baia del Massachusetts. Ma questa vicenda si trasformò lentamente in uno
dei principali “miti fondatori” della nazione americana.
La partenza dei Pellegrini dal porto di Delftshaven, in Olanda, è
raffigurata nella Rotonda del Congresso in un’opera di Robert W. Weir,
eseguita tra il 1837 e il 1847 e questo ci indica l’importanza del significato
simbolico del viaggio dei Pellegrini.
Il teologo puritano Cotton Mather fu tra i primi a contribuire alla
creazione del mito dei Pellegrini: «Con le loro sofferenze, aprirono la porta
verso quelle nuove terre e poi altri andarono ad abitarvi con facilità,
rispetto alle gravi difficoltà che questi uomini dovettero affrontare» [Mather,
Magnalia Christi Americana, I, 10].
Ma il mito si consolidò dopo la Rivoluzione americana, quando le virtù
(adesione al principio dell’autogoverno, fiducia nell’educazione, rifiuto
dei concetti feudali di possesso della terra, convinzione che la società deve
fondarsi sulla moralità e sulla fede cristiana) che erano state
tradizionalmente attribuite ai puritani della colonia del Massachusetts
vennero trasferite ai Padri Pellegrini. Infatti, mentre la storia dei puritani
presentava delle macchie (come la cacciata di Roger Williams e di Anne
Hutchinson, l’esecuzione di alcuni quaccheri e la persecuzione degli
anabattisti), la fede, il coraggio e la vittoria sulle avversità dei Pellegrini
risultarono più adatte a soddisfare il bisogno di legittimazione della nuova
nazione. La roccia sulla quale
sbarcarono, “Plymouth Rock”, divenne il simbolo della missione originaria,
cioè la creazione di una società giusta nel Nuovo Mondo, e il separatismo
religioso servì da prova analogica della separazione politica.
È stato giustamente osservato che «in una nuova società, una certa
spiegazione (o persino un mito) soddisfacente delle origini può essere un
ingrediente vitale nella formazione dell’identità nazionale. Pertanto non
dobbiamo essere sorpresi di scoprire che [...] lo sbarco dei Padri Pellegrini
[...] divenne una leggenda molto significativa [...], commemorata annualmente
nel Giorno degli Antenati (21 dicembre)».
I discorsi celebrativi pronunciati in occasione del Forefathers’ Day
divennero spesso testi famosi che contribuirono a fare della vicenda storica dei
Pellegrini un mito fondatore degli Stati Uniti.
La piccola storia dei Pellegrini ha quindi avuto un’importanza
notevole nell’elaborazione della storia nazionale americana, come simbolo di
un popolo libero e coraggioso, segnato da un “destino manifesto”.
Conversazione
tenuta presso la Fondazione Serughetti La Porta il 6 novembre 2000
Testo
non rivistodall’Autore
BIBLIOGRAFIA
William Bradford,
“L’impianto di Plymouth”, in Emidio Campi,
Protestantesimo nei secoli, vol. I: Cinquecento
e Seicento, Torino, Claudiana, 1991, pp. 393-5.
William
Bradford, Of Plymouth Plantation 1620-1647, a cura di S.E. Morison,
New York, Alfred A. Knopf, 1952.
Cotton
Mather, Magnalia Christi Americana [London, 1693-1702], a cura di K.B. Murdock
e E.W. Miller, Cambridge, Mass., Harvard University Press, 1977.
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